L’ira funesta dei Brucaioli nel Palio della pace. Un drappellone strappato, Rubacuori quasi linciato. E una vittoria mancata. I contradaioli del Bruco furono protagonisti assoluti del Palio della Pace, disputatosi, a ridosso dell’ordinario del 16 agosto 1945, per celebrare la fine della seconda guerra mondiale. Il venti agosto il Bruco contava di spezzare un umiliante digiuno lungo ben trentatre anni, puntando sull’accoppiata Il Biondo-Mughetto e su molti soldi da investire nei partiti. Primo arzilli detto “Il Biondo”, aveva vinto solo quattro giorni prima per la Civetta, mentre Mughetto aveva vinto con Renzino, per i colori della Lupa, il palio di luglio di quell’anno.
Già dalla vigilia sembrava tutto deciso, i dirigenti del Bruco avevano comprato quasi tutti i fantini, dando il compito di “scudieri” del Biondo agli esperti Ganascia e Pietrino.
L’accordo più complicato da concludere fu quello con il Drago che, con il mitico Folco ed il giovane studente-fantino Rubacuori, nutriva ambizioni di successo. Nonostante il partito tra Bruco e Drago avesse raggiunto un esito positivo, molti erano perplessi e temevano l’esuberanza e la voglia di vincere del giovane fantino dragaiolo.
Chi capì che qualcosa avrebbe potuto andare storto fu il fantino Pietrino, il quale, da vecchio marpione per paura di perdere i soldi del Bruco, cercò di far capire al capitano brucaiolo che la strategia andava cambiata, ma questo tentativo andò a vuoto.
Il venti agosto, dopo il rinvio per pioggia del giorno precedente, l’atmosfera in piazza lasciava presagire una vittoria annunciata, ma le cose presero una piega ben differente rispetto alle speranze brucaiole. La mossa provocò le prime turbolenze, la Tartuca, con Amaranto sul grigio Elis, partì nettamente prima per due volte, ma il mossiere, Lorenzo Pini, annullò le due mosse. I Tartuchini, guidati da Silvio Gigli, presero la clamorosa decisione di ritirarsi dalla carriera per protesta.
Il famoso Silvio Gigli schiaffeggiò il mossiere, mentre le comparse di Oca e Onda, contrade alleate alla Tartuca, seguite da molti Giraffini, abbandonarono i palchi in segno di protesta. Forse in questa clamorosa decisione pesò una vigilia molto tesa fra la dirigenza brucaiola e quella tartuchina. Alla terza busta, con il Bruco ancora primo al canape come nei due ingressi precedenti, in un clima incandescente la mossa valida. Il Bruco, contando su numerosi appoggi fra i canapi, prese la testa, ma il determinato Rubacuori, divincolandosi dal duro ostacolo di Pietrino, ben presto riuscì a portarsi a ridosso dal Biondo. Il fantino del Bruco, infastidito e preoccupato da questa rimonta, alzò il nerbo su Rubacuori. Da questo momento la svolta della carriera, Rubacuori iniziò a spingere al massimo il vecchio Folco, le nerbate avevano messo addosso al fantino del Drago una grande grinta.
Secondo i più informati, le nerbate del Biondo non erano previste nell’accordo fra Bruco e Drago e diedero via libera alla rimonta di Rubacuori. La beffa per i brucaioli si consumò in un attimo, vedere il Drago primo fu un duro colpo anche per gli altri fantini, costretti a rinunciare alla considerevole cifra promessa dal Bruco.
Mentre Rubacuori alzava il nerbo, il cavallo del Bruco si fermò e la rimonta della Torre fu tanto tardiva quanto inutile. Tempo per festeggiare ce ne fu veramente poco per i dragaioli, infatti la rabbia dei brucaioli esplose in un attimo.
Rubacuori riuscì per un pelo a scampare al linciaggio, mentre il Drappellone di Dino Rofi, appena abbozzato per il poco tempo a disposizione, finiva strappato in mille pezzi dalla marea di brucaioli inferociti. Furono momenti di estrema tensione, il capitano del Drago fermò all’ultimo momento un soldato col fucile carico puntato sui brucaioli.
Un vigile urbano, del Bruco, colpì con un pesante cazzotto un suo superiore che ordinava la carica, gesto poi pagato a caro prezzo con il conseguente licenziamento.
Solo dopo qualche tempo gli animi si placarono, il Bruco fu costretto a far ridipingere a proprie spese il drappellone, riconsegnandolo al Drago legittimo vincitore.
Provvedimenti disciplinari presi in un primo momento, per punire i responsabili di una delle pagine più violente della storia paliesca, furono in seguito condonati.
Racconto ripreso dal supplemento della Nazione “Aspettando il Palio” del 29 giugno 2004