Gli albori di un territorio: origine, storia e mito

Il territorio della Nobil Contrada del Bruco, compreso nel terzo di Camollia, si è formato tra la fine del X secolo e la prima metà del XI. Sul finire dell’alto Medioevo, grazie ad una diffusa ripresa demografica ed economica che interessò gran parte dell’Europa centro-occidentale, anche Siena iniziò un importante processo di sviluppo, espansione e riorganizzazione amministrativa. In questo quadro di favorevole cambiamento svolse un ruolo non secondario, per la nostra città, l’antica via “Romea” o “Francigena”. Infatti lungo il suo tracciato che lambiva il nucleo più antico di Siena, arroccato sul colle più alto della città, venne a formarsi un sistema di borghi formati dai castellari delle famiglie più potenti e benestanti posti in alto a dominare le sottostanti vallate nelle quali gradualmente si stabilì la popolazione più povera. La parte della città che darà origine al territorio del Bruco, e che viene a formarsi in direzione nord-est, è da subito chiamata borgo d’Ovile, toponimo documentato a partire dall’anno 1093. Il suo sviluppo è inoltre legato a due importanti enti ecclesiastici: l’originaria abbazia dei Monaci Vallombrosani, l’attuale chiesa di San Michele a San Donato in piazza dell’Abbadia, e la chiesa parrocchiale di San Pietro a Ovile. Quest’ultima, all’epoca, non si trovava infatti dove sorge attualmente, ma bensì nel luogo oggi occupato dalla basilica di San Francesco. Grazie poi alla costruzione di una nuova cinta muraria, il borgo d’Ovile sarà definitivamente inglobato all’interno della città tra la seconda metà del XII secolo e gli inizi del XIII. Giova qui precisare che si tratta, nel caso specifico, delle antiche mura che salendo lungo l’attuale via del Comune collegavano la porta d’Ovile con la porta dei Frati Minori, l’attuale Arco di San Francesco.

Inoltre alla luce di nuovi studi ed ipotesi sull’origine delle Contrade di Siena, dei loro stemmi e del loro “spazio di competenza” si collega alla nostra Contrada un documento, datato 1366, rintracciato in un libro della Lira, che era l’ufficio delle imposte dirette della Siena medievale, nel quale si raggruppano sotto il toponimo “El bruocho del piano d’Uvile” ben 203 nuclei familiari che lì abitavano, segnalandoli attraverso il nome del capo famiglia. Quel luogo è stato individuato come un’estesa area pianeggiante a ridosso delle mura compresa tra la porta d’Ovile e le odierne via Simone Martini e via Baldassarre Peruzzi. È necessario tenere presente che oggi la topografia di quest’area è completamente diversa rispetto ai secoli ai quali fanno riferimento i documenti sopra citati, in particolar modo le altimetrie e le superfici sono stravolte. Dobbiamo quindi immaginarci ampi prati pianeggianti posti molto più in basso rispetto all’attuale viabilità. Lì pecore e capre si rifocillavano brucando l’erba e abbeverandosi alla fonte appena fuori una delle antiche porte della città, chiamata d’Ovile proprio in relazione al luogo dove si custodivano temporaneamente gli animali transumati. Tanto che fu edificata una chiesa, purtroppo non più esistente, intitolata a San Biagio protettore, tra gli altri, dei cardatori di lana. Non ostante la presenza delle mura e della porta tutta l’area era unita da forti interessi economici che ruotavano attorno al complesso meccanismo della transumanza. Questo valeva sia per gli abitanti che per i lavoratori, ma anche per i governanti, in quanto la zona d’Ovile rappresentava un’importante tappa di quel viaggio che i pastori con i lori greggi erano costretti a fare per raggiungere i pascoli della Maremma. Quest’ultimi rappresentavano, e hanno rappresentato per secoli, un’importante fonte di reddito per le casse della nostra repubblica ed una garanzia per quell’ufficio dei “Paschi” che successivamente diventerà una banca.

Prendendo quindi in esame tutti questi fatti e con essi gli antichi toponimi legati a quello che oggi è il nostro rione, restano pochi dubbi sul fatto che i forti interessi collegati ai prodotti forniti dagli ovini ed in particolare alle varie fasi della lavorazione della lana, molto richiesta in quei secoli, cementarono fin dall’inizio un certo “spirito di appartenenza” suggerendo anche l’appellativo “popolare” di “Bruco” a questa zona della città. Proprio gli “scadassieri” che qui lavoravano, e che costituivano la parte più bassa della catena di lavorazione di questa importante e lucrosa attività, identificarono la loro “compagnia” con il nome del luogo d’origine: “il Bruco”.

Nell’estate del 1371 per rivendicare migliori condizioni salariali la “compagnia del Bruco” passa alla storia per aver dato vita ad una sollevazione popolare capeggiata da “Barbicone” che è ormai entrata a pieno titolo nella storia e nel mito stesso della nostra Contrada. In attesa di ulteriori approfondimenti in merito alla complessa analisi storica sulla “rivolta del Bruco”, a noi qui interessa sottolineare l’origine che lega il nome della Contrada a questa antica zona della città. Il toponimo “Bruco” deriva proprio dal “bruocho del piano d’uvile”, come si legge nella denuncia alla Lira del 1366 e dal quale prenderà il nome e l’emblema la nostra Contrada. Forse era anche il nome popolare con il quale si indicava la compagnia del Piano d’Ovile fondata nel 1368. Resta il fatto che tra le Contrade di Siena è uno dei nomi più antichi che ci è stato tramandato e che comprendeva, oltre all’area intorno alla porta d’Ovile, le coste d’Ovile che ripide salivano verso quella parte più alta del nostro territorio: l’attuale via dei Rossi. La giurisdizione territoriale era affidata inoltre alle due compagnie di San Pietro a Ovile di sopra e di sotto. Significativa la collaborazione tra queste due compagnie per realizzare tra il 1342 ed il 1417 la Fonte di San Francesco i cui stemmi originali risaltano ancora ai lati dell’arco di quella che, dal 1978, è diventata la fontanina battesimale del Bruco.

Pur in mancanza di documenti certi sulla nascita delle Contrade è ormai certo che nel corso del XV secolo, in pieno Rinascimento, si affacciano sulla scena cittadina delle forme di “aggregazione ludica” che danno vita a “spettacoli pubblici” e che assomigliano al concetto che abbiamo ancora oggi delle nostre attuali Contrade. Si tratta degli abitatori dei vari rioni cittadini, diversi per condizione sociale e per generazione, che erano poi gli stessi chiamati a difendere la città inquadrati nelle “compagnie”, così come erano i medesimi suddivisi in “populi” delle varie parrocchie, i quali per divertimento e per spirito di appartenenza, decidono di unirsi stavolta per formare delle “brigate” o “schiere”, dai nomi fantasiosi, attraverso le quali partecipare a dei giochi pubblici in forma di veri e propri spettacoli cittadini.

La caratteristica della territorialità era già un dato distintivo per queste organizzazioni e la nostra Contrada è menzionata per la prima volta, in occasione della caccia del 15 agosto 1546, da “Cecchino Libraro” il quale, narrando l’inizio della sfilata, afferma che la Contrada del Bruco fece per prima l’ingresso in Piazza con ottantaquattro giovani e “due insegne una verde e l’altra bianca”. Sappiamo però che fin dal 1542 il Bruco si era dotato di un “breve”, e quindi era già una Contrada organizzata con tanto di statuto. Per di più i colori spiegati dal Bruco nel 1546 sono gli stessi che, appena cinquant’anni prima, nel 1494, aveva inalberato per il gioco della pugna, la “schiera” finanziata dagli Spannocchi: si trattava di cento giovani con “giubbotti di seta bianca e verde”, appunto. Questa ricca e potente famiglia senese, il cui palazzo ancor oggi si trova nel territorio del nostro rione, sostenne in quella pugna le stesse persone abitanti del loro quartiere che sarebbero, e già lo erano, tornati a chiamarsi Contrada del Bruco. Da allora in una continua ed armoniosa stratificazione di vocaboli, di usi e di competenze le Contrade sono riuscite a sfidare i secoli, hanno superato ed affrontato “mondi diversi” per arrivare fino ai giorni nostri così come le conosciamo e le amiamo noi contradaioli di oggi.

In quei secoli nel nostro territorio si verificarono due interventi di una certa rilevanza che ne hanno modificato ulteriormente l’assetto. Il primo avvenne intorno alla metà del XV secolo quando fu edificato il tratto di mura che inglobò nel tessuto urbano la Basilica di San Francesco. Questa edificazione fu fortemente voluta da Papa Pio II che volle includere “intra moenia” la chiesa di San Francesco che veniva usata dalla sua famiglia, i Piccolomini, come sepolcreto. Questo fatto procurò un primo importante restauro della porta d’Ovile e l’attuale sistemazione di questa parte del nostro territorio. Il secondo è la conseguenza del bombardamento che dal vicino colle di Ravacciano, nel gennaio del 1555, l’artiglieria imperiale riversò sul tratto di mura che difendevano il nostro rione, con l’obbiettivo di creare un varco, penetrare in città e rompere l’assedio. Porta Ovile venne murata ed in buona parte interrata per resistere al cannoneggiamento, modificandone per sempre il primitivo aspetto. Anche il rione subì notevoli devastazioni e di conseguenza un periodo di abbandono che procurò un calo demografico.

Comunque in generale e per lunghissimo tempo la popolazione del nostro territorio, tranne poche eccezioni, sarà numerosa e povera, afflitta da una diffusa decadenza edilizia ed in prevalenza costretta a vivere ai limiti della miseria estrema. Questo stato sociale non ha però impedito alla nostra Contrada, grazie alla vivacità del suo popolo, ad abili ed operosi Brucaioli, al fatto di risiedere tutti nei medesimi luoghi e con l’aiuto economico di quelli che poi saranno, in un secondo tempo, definiti “protettori” di partecipare dignitosamente e con “animosità popolare” alle feste cittadine e, allo stesso tempo, di soddisfare le proprie necessità in quanto comunità contradaiola. Il Bruco è infatti tra le prime Consorelle a dotarsi di un proprio Oratorio costruito a spese della Contrada dopo aver individuato e acquistato un “sito” lungo l’attuale via del Comune nella seconda metà del XVII secolo. Questa vicenda comportò l’inevitabile spostamento del “baricentro rionale” verso quella che sarà, e tutt’ora viene considerata, la strada principale del Bruco.

Nel documento di erezione del nostro Oratorio troviamo alcune significative curiosità a sostegno del fatto che ormai su questo territorio da oltre un secolo si era formata una coscienza contradaiola, con una sua dignità organizzativa e rappresentativa a dispetto delle difficili condizioni rionali. Intanto per esempio si afferma che la Contrada del Bruco si era riunita fino ad allora “in diverse Chiese, per loro devozione, et interessi e consigli” e si comprendere che, almeno fin dal 1572, la nostra Contrada aveva fondato nel suo territorio, per l’utilità spirituale dei suoi abitanti, una compagnia laicale intitolata al “Santissimo Nome di Gesù”. È proprio nel nome di questa compagnia che “la Contrada e Popolo del Bruco” indirizzano la loro supplica all’“Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Arcivescovo”, il 5 aprile 1666, al fine di ottenere la concessione “di poter fabbricare detto Oratorio” in via del Comune. Questa richiesta stabilisce dei punti fermi che caratterizzano la Contrada del XVII secolo: l’ormai secolarizzata affermazione di essa su quello specifico spazio della città, la necessità di assicurarsi una sede stabile per potersi riunire, svolgere le proprie funzioni e poter conservare i propri beni ed infine la già raggiunta consapevolezza di autofinanziamento, per poter affrontare ogni difficoltà, per mezzo delle “limosine che hanno, sì effettive sia promessogli” ma “in ciò che manchi (…) supplirebbe detta Contrada”. Tutta questa vicenda conferma infine l’ideale di reciproco soccorso tra consorelle in particolari occasioni: in questo caso è l’Oca che generosamente in corteo dona “some 81 di mattoni” per aiutare il Bruco a portare a termine quest’impresa. Fino a quel momento i Brucaioli i si erano riuniti in due edifici di culto del proprio territorio: la chiesa di S. Biagio e l’oratorio di S. Gherardo sotto le volte della basilica di S. Francesco.

È comunque sorprendente la tempistica visto che tra l’anno della richiesta, il 1666, e la costruzione del luogo di culto trascorrono solo cinque anni, infatti nel 1670 l’arcivescovo cardinale Piccolomini menziona l’Oratorio del Bruco nella relazione della sua visita pastorale alle chiese della città.

Per comprendere comunque meglio questo passaggio cruciale c’è da aggiungere che nel corso del cinquecento le Contrade avevano cominciato ad affiancare alle tradizionali attività ludiche un’intensa attività religiosa e, dopo il Concilio di Trento, cercarono un punto di riferimento in modelli già esistenti come, ad esempio, le Compagnie laicali. Questo si rifletterà anche nella loro forma organizzativa, in quanto iniziano pian piano a comparire termini e figure nuove come “Seggio”, “Sedia”, “Priore”, “Vicario”, “Camerlengo” e “Maestro dei novizi” che andranno ad affiancarsi agli “uffiziali”, “capicaccia” e “alfieri” nominati fino a quel momento per i pubblici spettacoli, questi ultimi diventeranno poi, con l’affermarsi del Palio alla tonda, “Capitano” e “Tenenti o Mangini”. La ricerca di un Oratorio e quindi di una sede stabile all’interno del proprio territorio diventa un obiettivo prioritario.

Il nostro territorio secondo il “Bando sopra la nuova divisione, e riforma de’ Confini”

È quindi certo che la caratteristica della territorialità, elemento imprescindibile e vitale delle Contrade, si era già affermato da secoli. In quello spazio urbano ogni Contrada poteva fare la questua per provvedere a sé stesse, grazie alle risorse interne e volontarie del proprio popolo, oppure rappresentare con varie cerimonie la propria giurisdizione su quel territorio. Questo sembra essere un antico problema che produce polemiche e scontri quando questi incaricati delle Contrade sconfinano trovandosi a stretto contatto con altri gruppi di contradaioli o di enti differenti. Ci dimostra tutto questo un documento già pubblicato, redatto intorno al 1590 e conservato nell’Archivio Comunale di Siena, con il quale la Balìa cerca di mettere un argine al problema provando, un secolo prima del famoso “Bando di Violante di Baviera”, a stabilire dei luoghi nei vari rioni in cui era consentito ad ogni Contrada di fare la questua: al Bruco sono assegnate le “Coste d’Uvile”, a riprova che certe definizioni territoriali erano ormai consolidate da moltissimo tempo.

Con l’inizio del XVIII secolo le Contrade e il Palio alla tonda, al quale erano state chiamate a partecipare da oltre mezzo secolo, sono per il sentire comune una parte importante della Città non tanto e non solo per gli aspetti “pittoreschi” della vita cittadina, ma bensì, come abbiamo già visto, in qualità di enti territoriali che esercitano ormai una continua, e prolungata nel tempo, sovranità in quelle porzioni di Siena che tradizionalmente sono state attribuite loro. Istituzioni riconosciute anche per ciò che ha attinenza con la ritualità civica e religiosa della comunità senese. Manca però nel processo di legittimazione di questi peculiari organismi uno strumento che li consolidi, li riconosca ufficialmente ancorandoli definitivamente a quel territorio di pertinenza. Negli anni ’20 del settecento prima si procede con nuove regole per il Palio, diventato un appuntamento fisso e replicato anche ad agosto per iniziativa della contrada vincitrice di luglio, visto e considerato che le regole risalivano a molti decenni prima, che i tempi erano cambiati e che molte cose erano lasciate al libero arbitrio dei protagonisti a discapito della “Festa” e dell’ordine pubblico. Ragionamento che vale ancor di più per il problema dei territori e che da troppi anni è rinviato creando continue tensioni. Sono le stesse Contrade a chiederlo e così nell’estate del 1729 l’impegno assunto dai governanti è concluso e, l’anno successivo, nel 1730 il Bando viene dato alle stampe. L’atto amministrativo che viene redatto certamente dai senesi è però firmato, controllato ed avallato dalla Governatrice della città e da essa prende il nome nel linguaggio comune senese: “Nuova divisione dei confini delle Contrade, Decretata dalla principessa Violante di Baviera, Governatrice di Siena, il 13 settembre 1729”.

Il territorio del Bruco è così definito nel bando: “Dalla Porta Ovile a sinistra occupi quel Piano, fino alla Chiesa di S. Biagio inclusive, ed abbracciando da tutte le parti le tre coste, che portano alla Fonte di S. Francesco occupi mezza la Piazza avanti a detta Chiesa compresa solamente la Compagnia di S. Gherardo, e di lì retrocedendo s’attenga per l’Arco a man destra, prenda la Fonte, ed a man destra si porti per detta strada all’Arco de’ Rossi, di dove per la strada di Camollia, abbracciando solo le case a man destra salga in Dogana, e tenendo solo la parte della Depositarìa col Monte Pio, e Paschi, scenda nella Piazza dell’Abbadia, comprenda la Chiesa, e Convento de’ Padri Carmelitani, via degli Orbachi, e ritorni a S. Biagio”.

Da quell’epoca alcuni dei luoghi o degli edifici citati sono scomparsi o hanno cambiato nome originando, in tempi moderni accese controversie tra le Contrade. Ma ciò che stupisce è l’attualità di questo “Bando” che si prefigge principalmente alcuni significativi scopi tra i quali quello di “ovviare alle continue controversie, che per lo passato sono insorte trà le Contrade di questa Città”, al fine di “conservare la pubblica quiete”. C’è inoltre il tentativo di riequilibrare la densità abitativa di ogni rione “a fine di riprodurre nelle medesime (Contrade) l’uguaglianza, acciò avendo tutte un ugual numero di abitatori possano fare decorosa comparsa nell’occasione delle pubbliche feste”. La notifica proibisce poi il “ritrovarsi, o riassumersi da quì in avanti nuove Contrade, oltre alle diciassette nel presente Bando descritte”, e quindi fissa il numero delle Contrade di Siena per sempre.

Concede la facoltà ai contradaioli “di poter eleggere per loro Nobili Protettori, anco quelli, che abitassero in altre Contrade, e di poterli liberamente conferire in altre Contrade, e di potersi liberamente conferire alle Case de’ medesimi nelle forme solite, a fargli le consuete Feste; siccome anco di batter Cassa, a e far Feste in quelle Strade, e Piazze, che fan Confine fra loro.” Il “Bando” regola inoltre il modo di legarsi ad una Contrada come “Protettore” o “Geniale”, e quindi per scelta al di là del territorio che uno abita, intendendo poi disciplinare il modo per rendere loro omaggio da parte di una Contrada ed infine l’uso, da parte delle Consorelle, delle strade e piazze confinati in occasione di feste.

Si tratta di regole e consuetudini, alle quali adesso non facciamo neppure più caso, ma che sono invece l’essenza fondante del nostro modo di vivere la Contrada ed il suo territorio ancor oggi.

C’è poi un aspetto che riguarda da vicino la nostra Contrada e che viene cosi posto in premessa:(…) che però col presente Bando non s’intenda apportar pregiudizio alcuno a quelle descrizzioni, che per li tempi andati fossero state fatte ne’ pubblici documenti, ma quelle forme sempre stanti”.

Infatti le Contrade devono attenersi “sì nel questuare, che nel batter la Cassa.”, cioè suonare il tamburo per “adunare gli abitatori” o fare “onorata comparsa”, ai confini stabiliti salvo però quelle concessioni rilasciate di volta in volta da organi superiori. Effettivamente per i secoli precedenti esisteva una realtà leggermente diversa da quella sancita nel “Bando” il quale non poteva certo fissare tutto l’insieme dello stato delle cose preesistenti.

Ma in quell’area urbana, sorgente del punto di partenza di quello che oggi consideriamo il territorio del Bruco, certe memorie, tradizioni e rapporti avevano reso peculiare l’idea stessa di territorio. Questo è dovuto al fatto che il Bruco, rispetto ad altre consorelle, ha nei secoli messo insieme, legandoli all’entità Contrada e ai suoi abitanti, culti diversi in un rapporto di continua mobilità con “zone di vicinato”, influendo così sul formarsi della Contrada stessa. Ci riferiamo a San Biagio o al culto della Visitazione di Maria Vergine, devozione mariana ampiamente diffusa a Siena, ma che lega la nostra Contrada alle parrocchie del territorio e all’edificazione della Basilica di Provenzano. C’è poi il S.S. Nome di Gesù che per secoli “aprirà” le pagine dei nostri verbali: “Doppo la recita del Vespro e Preci nella nostra Chiesa del SS Nome di Gesù, della Contrada del Bruco, si adunò il Consiglio”. Quest’ultimo in particolare sottolinea il rapporto istaurato con questo “simbolo bernardiniano” che progressivamente diverrà un potente emblema protettivo legando il Bruco, ancor prima della significativa realizzazione del proprio oratorio, alla precedente costruzione della Basilica dell’Osservanza e all’Ordine dei frati minori di San Francesco, quindi alla basilica sull’omonima piazza e alla piccola chiesa dell’Alberino edificata, sul colle di Ravacciano, a seguito della morte e del miracolo del Santo, oggi parrocchia di quel quartiere. Se consideriamo poi che nel corso dei secoli la Contrada del Bruco venne autorizzata dalle autorità civili e religiose a “cercare elemosine di grano, biade, et altre grascie” da “erogarsi le medesime fedelmente in benefizio della Chiesa del Santissimo Nome di Dio di detta Contrada” nelle campagne extra moenia prospicienti la porta di Ovile, fino alla Basilica dell’Osservanza, si capisce bene il rapporto tra il Bruco e certe zone fuori le mura. Queste concessioni si sono ripetute nel tempo per ciò che attiene a quelle campagne oggi abbastanza densamente abitate. Il tutto si svolgeva per mezzo di uno o più incaricati della Contrada alla ricerca di elemosina sotto forma di questua purché “detto cercatore non vada distribuendo sacre immagini et osservi i soliti ordini”. Questo fece nascere in quegli abitanti uno spontaneo sentimento di affetto e affiliazione nei confronti del Bruco che a sua volta svolse un’opera di inclusione, da sempre alla base della vita contradaiola, per mezzo della quale potevano aderire al Bruco non solo gli “abitatori” ma anche i così detti “geniali”. Questi territori rappresentano quindi una sorta di continuità territoriale che si è tramandata fino ai giorni nostri, ad esempio con quello che è stato il “giro in campagna”, unito al rapporto spontaneo, di reciproco aiuto e di amichevole collaborazione con le parrocchie dell’Alberino e dell’Osservanza.

Sul finire del XVIII secolo un terribile sisma investirà Siena e per il nostro territorio si aprirà un altro periodo di gravi problemi ed incertezze sul futuro. Il terremoto si verificò nel 1798 e le strade del nostro rione vengono così descritte nella “Relazione” dell’abate Ambrogio Soldani, tra i testimoni più precisi di quel drammatico evento, come “un’orrendo spettacolo in un folto, dire così, bosco di travi, e puntelli, che o per contrasto orizzontale, o inclinazione al terreno le sostengono in piedi acciò non precipitino al suolo”. La Contrada comunque non si scoraggerà, riparerà i danni subiti e proseguirà nell’importante e lungimirante opera di acquisizione immobiliare, nei secoli intrapresa, che costituisce quel rilevante patrimonio ereditato da noi Brucaioli di oggi e che ci ha permesso ulteriori ed importanti traguardi nel nostro recente passato.

Il Territorio del Bruco oggi

Nel nostro tempo più che mai tra gli elementi costitutivi delle Contrade di Siena c’è il territorio considerato con le sue strade, piazze, vicoli, abitazioni e monumenti il primordiale “spazio comune” di tutti i contradaioli, cioè il luogo di vita della nostra comunità, inteso nel nostro tempo come rione, da tutelare ed amare, il quale, pur non abitandolo, conserva in sé tutto il carico di memoria storica, affettiva e aneddotica della Contrada stessa. Dopo secoli difficili e di decadenza edilizia ed urbanistica, di piani di recupero frammentari e poco incisivi, il nostro rione finalmente, sul finire del XX secolo, è stato sottoposto a molteplici interventi di restauro e di risanamento. Grazie al contributo di opere pubbliche e private, che hanno beneficiato anche del finanziamento legato alla così detta “Legge Speciale per Siena” e per merito dell’attenzione che ogni Contrada mette nella salvaguardia del proprio territorio e del proprio patrimonio immobiliare.

Partendo dalla parte più vicina al “centro storico della città” troviamo piazza Salimbeni che così come ci appare è il frutto della reinvenzione a opera dell’architetto Giuseppe Partini nel 1877. La piazza era al tempo del “Bando di Violante” occupata da un giardino pensile e tramite uno stretto vicolo si accedeva alla “Dogana” per sbucare poi nell’attuale piazza dell’Abbadia. Per ragioni di spazio e di decoro qui la Contrada riceve la “Signoria” nel sabato della festa titolare dopo che per anni è stata ricevuta all’Arco dei Rossi, vero e proprio ingresso al nostro territorio. Tra questi due monumenti troviamo, lungo il tratto di Banchi di Sopra di nostra competenza, l’antico palazzo Spannocchi, la famiglia che nel 1494 finanziò il gioco della pugna alla “schiera” formata da cento giovani con “giubbotti di seta bianca e verde”, e la lapide che ricorda “Federigo Tozzi romanziere tra i maggiori d’Italia” che qui nacque, nel territorio del Bruco, il primo gennaio 1883.

Svoltato l’Arco dei Rossi, punto di ritrovo e di appuntamento da sempre per i Brucaioli , si raggiunge piazza dell’Abbadia con la magnifica chiesa di San Michele a San Donato. Quest’ultimo è il titolo della parrocchia omonima qui trasferita dopo che il convento era stato sede dei Monaci Vallombrosani prima e dei Carmelitani Scalzi poi, la quale si trova nella stessa posizione in cui fu edificata in origine. Lungo via dell’Abbadia fa bella mostra di sé un tabernacolo raffigurante una “Madonna con Bambino” opera di Ettore Cortigiani.

Scendendo ancora lungo via dei Rossi incontriamo una particolare biforcazione che dal 1857 è stata battezzata nel gergo popolare come i “ferri di San Francesco”. In quell’anno infatti il Comune decise, a causa della pesante situazione di degrado e per il rischio di infezioni, di demolire l’antica struttura della fonte di San Francesco inglobandola nel piano stradale e riorganizzando l’area viste anche le mutate esigenze di viabilità. Qui in un immobile di proprietà della Contrada fa bella mostra di sé dal 1995 un’opera d’arte di Pier Luigi Olla dal titolo Rinascita.  In questo luogo inoltre dopo un attento restauro, di ciò che rimaneva dell’antica fonte, l’architetto brucaiolo Lorenzo Borgogni realizzò nel 1978 la fontanina battesimale, con il sostegno del Rettore Mario Menicori, impreziosita da una scultura di Angelo Canevari rappresentante “Barbicone”. Di fronte si apre l’arco che introduce al caratteristico vicolo degli Orbachi dove è collocato un tabernacolo in terracotta opera di Vita Di Benedetto datato 1986. Questo luogo era un tempo il più appartato e malfamato del rione ed ha subito molti cambiamenti nel corso dei secoli. Oggi è invece il nostro punto di riferimento nei giorni del Palio perché, da moltissimi anni lì si trova la stalla che, finalmente, dal 2007 è diventata di nostra proprietà grazie al generoso intervento dell’allora Rettore Germano Trapassi. Dal vicolo degli Orbachi si accede, dopo aver osservato un bellissimo panorama sul nostro rione, che spazia fino alla Basilica dell’Osservanza oltre il colle di Ravacciano, a quelli che una volta erano gli orti coltivati dagli abitanti della zona e che adesso, da alcuni decenni, sono dei bellissimi giardini pubblici che il Comune ha data in gestione alla nostra Contrada la quale, per mezzo di operosi volontari, se ne prende cura.

Retrocedendo e rientrando in via dei Rossi si raggiunge la vasta e incantevole piazza San Francesco dopo aver attraversato l’Arco omonimo che costituisce ciò che resta dell’antica “porta dei frati minori”. Anche qui si apre un panorama inedito sul nostro rione e sulla campagna circostante. Forte è il legame della Contrada con questo spazio nel quale sono state celebrate le ultime quattro vittorie. Ma non è solo per questo: la Basilica di San Francesco si lega al Bruco in quanto ospitava sotto le sue volte l’antico oratorio di S. Gherardo nel quale la Contrada si riuniva prima di avere un proprio oratorio. Quindi per antico diritto e tradizione, oltre che per reciproca collaborazione ed attinenza con il proprio territorio, assieme ad altri soggetti, il Bruco soprintendeva alle liturgie riguardanti San Francesco e le “Sacre particole”, la cui cappella è assegnata alla nostra Contrada.Vale la pena ricordare che a causa dei danni provocati dal terremoto del 26 maggio 1798 i tessitori della zona di Ovile furono ospitati dai frati di S. Francesco e proseguirono la loro attività nella cripta dell’attuale Basilica. Uno spazio sul quale comunque il Bruco ha collaborato con la Giraffa nel recente progetto di restauro di tutta l’area.

In questa parte del rione poi dal 1874 Savina Petrilli, proclamata Beata da papa Giovanni Paolo II il 24 aprile 1988, stabilì la sede di quella che poi diventerà la Congregazione delle Sorelle dei Poveri di Santa Caterina da Siena. Inoltre il 3 luglio 1901 venne consacrata in via dei Rossi, dopo appena sei anni dall’inizio dei lavori su progetto dell’architetto Agenore Socini e del pittore Alessandro Franchi, la Chiesa di Sant’Elisabetta della Visitazione della Casa Madre dove oggi è custodito, sotto l’altare centrale, il sarcofago con il corpo della Beata Savina. La Chiesa fu fatta costruire da Madre Savina per adempiere un voto fatto alla Madonna a seguito di tre prodigiose guarigioni. Da quel momento il culto per la Visitazione di Maria Vergine accomuna la Congregazione con la nostra Contrada in un reciproco ed intenso legame affettivo e morale che dura ancora adesso. Le “Sorelle dei Poveri” impegnate da sempre in opere di carità, d’istruzione e di svago hanno fortemente significato per il nostro rione e per generazioni di contradaioli un punto di riferimento. Nello spirito di reciproca collaborazione la loro chiesa ha inoltre ospitato per conto della nostra Contrada numerose funzioni religiosi tra le quali non possiamo qui non ricordare la benedizione della cavallina Rose Rosa che, con Salvatore Ladu detto “Cianchino”, riportò la vittoria per il Bruco nel 1996 dopo quarantuno anni di digiuno. Da qui non resta che scendere quelle che il “Bando di Violante” liquida genericamente le tre coste, che portano alla Fonte di S. Francesco. Sono le tre caratteristiche “balze” che scendono ripide una a fianco all’altra con le case che sembrano sorreggersi l’una all’altra. Via degli Orti detta anticamente “costa degli Asini” e via di Mezzo dove la Contrada ha collocato, nel 1988, la così detta “Madonna del Rione” opera di Rolando Montagnani in sostituzione di un precedente tabernacolo, mentre nel 1993 ha intitolato “piazzetta Barbicone” uno slargo di questa via. In fondo a via di Mezzo e a via degli Orti si apre la non troppo pianeggiante piazza d’Ovile che oggi appare un parcheggio per i residenti della cosi detta zona a traffico limitato. Il Bruco ha svolto qui in alcune occasioni i festeggiamenti della festa titolare e delle recenti vittorie e, da alcuni anni, in riconoscenza ad un cospicuo lascito del nostro Germano Trapassi ha investito in un bene immobile che si affaccia sulla piazza. L’operazione è stata sostenuta dai Brucaioli sia economicamente che con un faticoso ed importante lavoro di recupero e sistemazione di questo nuovo ambiente.

La terza delle “tre coste è via del Comune, la via principale della Contrada. Qui in cima a questa strada sono stati collocati, nel corso dei secoli, numerosi tabernacoli, attualmente possiamo ammirare un olio su tavola del 1954 di Don Francesco Lorenzini che raffigura “L’incoronazione della Madonna, con i Santi Bernardino e Caterina da Siena”. Qui scendendo circa a metà di via del Comune ha trovato una sistemazione definitiva la Contrada in termini di spazi funzionali a cominciare dall’Oratorio, la cui facciata è stata impreziosita, circa una decina di anni fa, da una raffinata vetrata disegnata da Marcello Aitiani ed offerta dall’Allora Rettore Fabio Pacciani. In essa, data l’intitolazione dell’Oratorio al “S. S. Nome di Gesù”, si legge questo nome in quattro lingue: aramaico, ebraico, greco e latino.

Attorno al nostro Oratorio con una attenzione ed una operosità costante i contradaioli hanno acquistato e poi realizzato un importante complesso immobiliare che comprende oltre alla Sede Storica, il Museo, numerosi appartamenti e la Società “L’Alba”. Quest’ultima che con i suoi sorprendenti giardini oggi ha ereditato quella che per secoli è stata la vita nel rione, aggregando nei suoi spazi i contradaioli di ogni età in svariate attività sociali nei locali rinnovati nel 1995 quando era Rettore Mauro Finetti. Al numero 32 troviamo una seicentesca targa di possesso della Contrada ed una lapide celebra i lavori di restauro di uno dei primi immobili acquistati dal Bruco sottolineando tra l’altro l’antica acquisizione del titolo di “Nobiltà” della Contrada. Numerose sono le testimonianze murarie del “Cristogramma IHS diffuso da San Bernardino da Siena” qui e nel resto del rione, testimonianza della primitiva compagnia laicale del Bruco intitolata al “Santissimo Nome di Gesù”. All’ingresso del museo invece una lapide datata 1967 con non troppa malcelata soddisfazione ricorda che “anticipando l’opera di risanamento edilizio del rione” il Bruco inaugurava la propria Sede Storica sotto la guida del Rettore Luigi Socini Guelfi e del Vicario Lorenzo Borgogni. Quest’ultima è stata oggetto di un lungo e ben fatto intervento di restauro ed ampliamento nei primi anni del nuovo millennio.

Costeggiando infine la parte brucaiola di quello che resta del “Piano d’Ovile” ci troviamo di fronte l’omonima porta cittadina e alzando lo sguardo in alto si può notare la sagoma di un enorme “Croce” posta, per volontà dei Brucaioli sotto la guida dell’allora Rettore Roberto Saladini, in sostituzione ed in ricordo di un pregevole ed antico “Crocifisso” oggi custodito nel museo del Bruco. Nella seconda metà dell’ottocento con la costruzione a Siena della prima ferrovia e della relativa stazione la zona di porta Ovile subirà un drastico cambiamento. Saranno infatti costruiti una strada ed un ponte che tutt’oggi facilitano la viabilità tagliando però fuori l’antica strada con la quale si entrava e si usciva dalla città attraverso la porta d’Ovile. La strada raggiungeva le fonti d’Ovile e proseguiva, seguendo il tracciato del “riluogo”, lungo il fondo valle del colle di Ravacciano per arrivare a quello che oggi è viale Toselli.

Anche le Costituzioni della Nobil Contrada del Bruco all’articolo 4 menzionano il nostro territorio, ricordando che i confini storici “stabiliti nel 1729 dal Bando della Principessa Violante Beatrice di Baviera, Governatrice dello stato di Siena (…) sono individuati con apposite insegne recanti lo stemma della Contrada.”

Ma non dimentica di dire che “il Territorio si estende, altresì, nelle zone limitrofe fuori delle mura che, per tradizione, e influenza, sono da considerarsi parte integrante dello stesso.”

Luca Andreini

 

Bibliografia Essenziale

Non possiamo qui non fare riferimento alla compianta Letizia Galli, brucaiola, che dall’alto della sua competenza per i temi storici e passione contradaiola ha fornito alla nostra Contrada e alla Città numerose ricerche ed importanti forme di collaborazione ed un confronto continuo e proficuo sui temi trattati.

  •  Franco Badiani, Le Contrade di Siena: Come Persone di Diritto Canonico, Centro Studi per la Storia della Città e delle Contrade di Siena/1, Grafiche Pistolesi, Siena, anno 1972.
  • Duccio Balestracci, Violante Beatrice Gran Principessa di Baviera. Vita e storia di una principessa di confine, collana “Protagonisti e momenti/2” edita dalla Fondazione MPS, Protagon editori, anno 2010.
  • Antonio Basili, I “Tabernacoli” presenti nel territorio del Bruco. Segno della tradizione Mariana popolare senese, Nobil Contrada del Bruco, “I Quaderni di Barbicone”, Siena settembre 2014.
  • Serena Burgalassi e Paolo Nardi, La Nobil Contrada del Bruco e il suo territorio dalle origini al XIX secolo, dalle stanze della Nobil Contrada del Bruco – Ind. Grafica Pistolesi, anno 1980.
  • Giuliano Catoni, El Bruocho del Paino d’Ovile, in “Barbicone”, VI, n. 1, giugno 1986.
  • Mariano Fresta, Il “Cantar Maggio”delle Contrade di Siena nel XVII secolo, prefazione a cura di Giuliano Catoni e Alessandro Leoncini, “Studi e testi di storia e cultura senese/3” a cura dell’Università Popolare Senese, Edizioni Cantagalli, Siena, anno 2000.
  • Alessandro Leoncini, I Tabernacoli di Siena. Arte e devozione popolare, Nuova Immagine Editrice, Siena dicembre 1994.
  • Alessandro Leoncini, Divide et Impera. Nuove ipotesi sulle origini delle Contrade di Siena e dei loro stemmi, Betti Editrice, anno 2019.
  • Moreno Massaini, Transumanza. Dal Casentino alla Maremma. Storie di uomini ed armenti lungo le antiche dogane, collana “Le Antiche Dogane/6”, Aldo Sara Editore, Roma, anno 2005.
  • Giovanni Mazzini, La Compagnia del Drago in Camporegio. Gli albori delle Contrade alla luce del primo documento sulla loro storia, collana “Quaderni de Malavolti/2” a cura della Contrada del Drago, Casa editrice “I Mori”, anno 2000, pp. 20-21.
  • Giovanni Mazzini, Innalzate gli stendardi vittoriosi! Dalle Compagnie militari alle Contrade (Siena, XIII-XVI secolo), Documenti di storia/100, collana diretta da Mario Ascheri, Nuova Immagine Editrice, anno 2013.
  • Achille Mirizio, La Sorella dei poveri. Storia di Savina Petrilli, collana “Protagonisti e momenti/9” edita dalla Fondazione MPS, SeB editori, anno 2013.
  • Nobil Contrada del Bruco, dalla Fonte di San Francesco alla Fontanina, Siena luglio 2013.
  • Germano Trapassi, La Nobil Contrada del Bruco dagli antichi libri delle memorie e deliberazioni (dal 1730 al 1955), Nobil Contrada del Bruco, “I Quaderni di Barbicone”, Siena 1998.
  • Germano Trapassi, La Metamorfosi del Bruco. L’evoluzione del patrimonio immobiliare della Contrada dal 1900 a oggi, Nobil Contrada del Bruco, “I Quaderni di Barbicone”, Siena dicembre 2015.